Il vento è freddo, nonostante il periodo. Pioggia forte
intermittente e sole a sprazzi. Un’immagine del mito Zlatan Ibraimovich
capeggia su un negozio prima di entrare a Rosengard, il quartiere malfamato di Malmö.
Siamo nella Svezia meridionale, regione della Scania. Lo scorso anno eravamo a
Mollenbeek, quartiere islamico di Bruxelles. I reportage usciti negli ultimi
anni non promettevano nulla di buono su Rosengard. Tafferugli, incendi, violenze,
scontri con le forze dell’ordine sono praticamente all’ordine del giorno. Malmö
definita la Chicago d’Europa a causa degli scontri continui tra gang di
Rosengard e gruppi neo fascisti. E, cosa ancor più preoccupante, a Rosengard
non si entra. Poliziotti, giornalisti, perfino vigili del fuoco e soccorritori,
verranno accolti con un lancio di sassi senza pietà alcuna. Alla frontiera con
la Danimarca controlli serratissimi, verifica di passaporto alla partenza da
Copenaghen e all’arrivo, dopo nemmeno un’ora di treno, a Malmö. A noi poco
importa dei controlli serrati e tanto meno di essere accolti con una sassaiola.
A Rosengard abbiamo deciso di andarci e ci andremo.
Parecchie cose però le possiamo smentire. Non abbiamo subito nessun controllo
nel nostro percorso verso Malmö. Arrivati nella cittadina svedese qualcosa si
vede che cambia rispetto a Copenaghen. Qualche senza tetto in circolazione lo
si nota, ma niente di eclatante. La città è ordinata, non tanto diversa da
Copenaghen. Cartina alla mano percorriamo a piedi i 5 chilometri che separano
il centro di Malmö da Rosengard. Ci accorgiamo di essere quasi arrivati quando
sulla vetrata di un negozio governa la gigantografia del mito, Zlatan
Ibraimovich. Lui che a Rosengard ha imparato prima a fare a botte e poi a
giocare a pallone. Arriviamo al cartello che ci dice che siamo alla meta.
Stanno tagliando il prato. Il quartiere è considerato un ghetto. Sorto per dare
ospitalità alle migliaia di stranieri arrivati in Svezia per lavorare. E’ così.
Entriamo nei casermoni di Rosengard. Guardiamo i citofoni. Sono slavi,
asiatici, africani. Svedesi, forse un paio di media per palazzo. In alcuni
nessuno. “Ciao, come vi trovate a Rosengard? E’ vero che c’è violenza in questo
quartiere?”. Lo chiediamo a 4 ragazzine dai tratti asiatici. Si fermano,
sorridono. Ci rispondono (e perché non dovrebbero farlo?). “Si si è vero, c’è
violenza. Bisogna stare attenti qui”. Ci fermiamo nei negozi. Il quartiere è
ben fornito. C’è un asilo, campi da calcio, negozi di ogni genere, un centro
commerciale dove entriamo e vediamo una moltitudine di gente che fa acquisti.
Qui come in qualsiasi altro posto al mondo.
Parliamo con la gente per quel poco che il nostro inglese
precario ci concede. Molti però parlano solo arabo o lingue slave. Il quartiere
lo troviamo ordinato. Continuano a tagliare i prati e a sistemare i giochi per
i bimbi. Non c’è immondizia in giro. I bambini corrono inseguendo il sogno di
diventare come Ibra. Chiediamo se sanno dove è nato. Certo che lo sanno. ci
indicano la strada. E’ il ragazzo del giardino delle rose, quello che ha
imparato prima a fare a botte e poi a giocare a pallone. Vogliono diventare
come lui perché lui ha battuto la povertà ed è diventato ricco. E ha lasciato
Rosengard. Fisicamente, ma non nei ricordi. Perché come ha detto Ibra “puoi
togliere un ragazzo da Rosengard, ma non puoi togliere Rosengard da un
ragazzo”. Al bar della stazione di Malmö incontriamo un giovane di Brescia.
Lavora in Svezia perché si guadagna bene. In Svezia, ci dice, tutto deve essere
perfetto. E’ un paese civile, dove la gente fa quello che deve fare. Hanno
adottato un modello di accoglienza che ha portato a far arrivare in paese
tantissimi stranieri. Rosengard è diventata una città, sono circa 25mila
persone. Quasi tutte straniere. Il fatto che si siano verificati episodi di violenza
ha mandato in tilt il modello svedese. Ma soprattutto, ha mandato in tilt la
testa di chi aveva pensato di poter risolvere tutto con un quartiere ghetto.
Dove tutto è pulito, dove il prato viene tagliato, dove non c’è un rifiuto in
giro manco a cercarlo con la lente. Se dovessimo fare un paragone con lo schifo
dei quartieri Aler di Magenta e Abbiategrasso non avremmo dubbi. Rosengard
vince alla grande. Ma vince anche in civiltà. Il fatto che ci siano degli
scontri non toglie, come al solito, che la stragrande maggioranza dei suoi
abitanti siano persone per bene. Avremmo voluto dire che ci hanno spaccato il
telefonino come hanno fatto con altri colleghi, che ci hanno cacciato a pedate,
che abbiamo visto cassonetti e auto incediate. Non possiamo dirlo perché non ci
hanno cacciato, non ci hanno tirato sassi, non ci hanno derubato.
Lasciamo anche il quartiere Ghetto di Rosengard e, sempre a
piedi, torniamo verso Malmö. Piove e fa freddo nonostante sia giugno. La
temperatura è di circa 12 gradi. Guardiamo un campetto da calcio. Ci sono
bambini che giocano. Qui come ovunque nel mondo. Inseguono il sogno di Ibra. Il
ragazzo del giardino delle rose che ha imparato prima a fare a botte e poi a
giocare a pallone.
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