domenica 17 febbraio 2019

GIUGNO 2017 Reportage nel quartiere ghetto di Rosengard


Il vento è freddo, nonostante il periodo. Pioggia forte intermittente e sole a sprazzi. Un’immagine del mito Zlatan Ibraimovich capeggia su un negozio prima di entrare a Rosengard, il quartiere malfamato di Malmö. Siamo nella Svezia meridionale, regione della Scania. Lo scorso anno eravamo a Mollenbeek, quartiere islamico di Bruxelles. I reportage usciti negli ultimi anni non promettevano nulla di buono su Rosengard. Tafferugli, incendi, violenze, scontri con le forze dell’ordine sono praticamente all’ordine del giorno. Malmö definita la Chicago d’Europa a causa degli scontri continui tra gang di Rosengard e gruppi neo fascisti. E, cosa ancor più preoccupante, a Rosengard non si entra. Poliziotti, giornalisti, perfino vigili del fuoco e soccorritori, verranno accolti con un lancio di sassi senza pietà alcuna. Alla frontiera con la Danimarca controlli serratissimi, verifica di passaporto alla partenza da Copenaghen e all’arrivo, dopo nemmeno un’ora di treno, a Malmö. A noi poco importa dei controlli serrati e tanto meno di essere accolti con una sassaiola.
 

A Rosengard abbiamo deciso di andarci e ci andremo. Parecchie cose però le possiamo smentire. Non abbiamo subito nessun controllo nel nostro percorso verso Malmö. Arrivati nella cittadina svedese qualcosa si vede che cambia rispetto a Copenaghen. Qualche senza tetto in circolazione lo si nota, ma niente di eclatante. La città è ordinata, non tanto diversa da Copenaghen. Cartina alla mano percorriamo a piedi i 5 chilometri che separano il centro di Malmö da Rosengard. Ci accorgiamo di essere quasi arrivati quando sulla vetrata di un negozio governa la gigantografia del mito, Zlatan Ibraimovich. Lui che a Rosengard ha imparato prima a fare a botte e poi a giocare a pallone. Arriviamo al cartello che ci dice che siamo alla meta. Stanno tagliando il prato. Il quartiere è considerato un ghetto. Sorto per dare ospitalità alle migliaia di stranieri arrivati in Svezia per lavorare. E’ così. Entriamo nei casermoni di Rosengard. Guardiamo i citofoni. Sono slavi, asiatici, africani. Svedesi, forse un paio di media per palazzo. In alcuni nessuno. “Ciao, come vi trovate a Rosengard? E’ vero che c’è violenza in questo quartiere?”. Lo chiediamo a 4 ragazzine dai tratti asiatici. Si fermano, sorridono. Ci rispondono (e perché non dovrebbero farlo?). “Si si è vero, c’è violenza. Bisogna stare attenti qui”. Ci fermiamo nei negozi. Il quartiere è ben fornito. C’è un asilo, campi da calcio, negozi di ogni genere, un centro commerciale dove entriamo e vediamo una moltitudine di gente che fa acquisti. Qui come in qualsiasi altro posto al mondo.

Parliamo con la gente per quel poco che il nostro inglese precario ci concede. Molti però parlano solo arabo o lingue slave. Il quartiere lo troviamo ordinato. Continuano a tagliare i prati e a sistemare i giochi per i bimbi. Non c’è immondizia in giro. I bambini corrono inseguendo il sogno di diventare come Ibra. Chiediamo se sanno dove è nato. Certo che lo sanno. ci indicano la strada. E’ il ragazzo del giardino delle rose, quello che ha imparato prima a fare a botte e poi a giocare a pallone. Vogliono diventare come lui perché lui ha battuto la povertà ed è diventato ricco. E ha lasciato Rosengard. Fisicamente, ma non nei ricordi. Perché come ha detto Ibra “puoi togliere un ragazzo da Rosengard, ma non puoi togliere Rosengard da un ragazzo”. Al bar della stazione di Malmö incontriamo un giovane di Brescia. Lavora in Svezia perché si guadagna bene. In Svezia, ci dice, tutto deve essere perfetto. E’ un paese civile, dove la gente fa quello che deve fare. Hanno adottato un modello di accoglienza che ha portato a far arrivare in paese tantissimi stranieri. Rosengard è diventata una città, sono circa 25mila persone. Quasi tutte straniere. Il fatto che si siano verificati episodi di violenza ha mandato in tilt il modello svedese. Ma soprattutto, ha mandato in tilt la testa di chi aveva pensato di poter risolvere tutto con un quartiere ghetto. Dove tutto è pulito, dove il prato viene tagliato, dove non c’è un rifiuto in giro manco a cercarlo con la lente. Se dovessimo fare un paragone con lo schifo dei quartieri Aler di Magenta e Abbiategrasso non avremmo dubbi. Rosengard vince alla grande. Ma vince anche in civiltà. Il fatto che ci siano degli scontri non toglie, come al solito, che la stragrande maggioranza dei suoi abitanti siano persone per bene. Avremmo voluto dire che ci hanno spaccato il telefonino come hanno fatto con altri colleghi, che ci hanno cacciato a pedate, che abbiamo visto cassonetti e auto incediate. Non possiamo dirlo perché non ci hanno cacciato, non ci hanno tirato sassi, non ci hanno derubato.

Lasciamo anche il quartiere Ghetto di Rosengard e, sempre a piedi, torniamo verso Malmö. Piove e fa freddo nonostante sia giugno. La temperatura è di circa 12 gradi. Guardiamo un campetto da calcio. Ci sono bambini che giocano. Qui come ovunque nel mondo. Inseguono il sogno di Ibra. Il ragazzo del giardino delle rose che ha imparato prima a fare a botte e poi a giocare a pallone.

 

 

 

 

 

 

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