Non c’è posto dove puoi capire il Marocco se non nei piccoli
villaggi. Non hanno nulla nei piccoli villaggi. Vivono di quello che riescono a
produrre e il tempo sembra essere tornato indietro di un secolo. Ain Saicr è un
minuscolo agglomerato di casolari fatiscenti in mezzo a distese di campagne, in
questo periodo talmente aride da farle somigliare al deserto. Sembra quasi
impossibile anche soltanto immaginare di vivere in un posto del genere, eppure
nel Marocco emergente, se ne contano una marea. A una settantina di chilometri
da Kouribga c’è, appunto, Ain Saicr. Inutile cercarlo su Google maps, se c’e’
non si vede. È semplicemente uno dei tanti posti dimenticati dal mondo.
Poco prima del villaggio c’è un bellissimo canale d’acqua
sorgiva circondato da palme. “Qua la gente viene per respirare un po’ di
fresco”, dice Khalid, la nostra guida. Siamo io, Giux, Roby e Khalid. La
spedizione magentina, si fa per dire.
Poco più avanti c’è il villaggio. Scendo dall’auto e mi dirigo verso le
casupole. Ci sono una decina di bambini che quando mi vedono restano a bocca
aperta. Non so quanti turisti si sono mai fermati in quel villaggio.
Probabilmente nessuno. Non è certo una tappa che propongono le agenzie di
viaggio. Saluto i bambini. Cerco di farmi capire e loro ridono. Arriva Khalid
che traduce.
Quei bambini fanno tutti i giorni decine di chilometri a
piedi per raggiungere una scuola. Alcuni sono palesemente malati e malnutriti.
Le abitazioni somigliano a delle stalle per gli animali da cortile. Ci sono due
uomini. Uno è l’Imam del villaggio. Prende 200 euro al mese ed è un po’ il
referente della comunità, ma è malato anche lui. Ogni agglomerato di case, o
piccolo villaggio che sia, ha la sua moschea. Anche Ain Saicr ha la moschea. “È
stata costruita da chi vive qua – dice l’Imam – ognuno ha dato il suo piccolo
contributo e chi non ha dato nulla può entrare come tutti gli altri”.
Sembra incredibile che famiglie che vivono in uno stato di
povertà totale abbiano trovato la forza per farsi una moschea. Eppure è così
dappertutto. Entriamo. Ci togliamo le scarpe e l’Imam mostra orgoglioso quello
che hanno saputo fare. Il sole spacca il cervello. Quaranta gradi si sentono e
si aspetta con ansia il periodo delle piogge. Poco più avanti c’è il mega
impianto per l’estrazione del fosfato, una ricchezza per alcuni. Ma non per
loro. I bambini ridono ancora. Gli chiedo se conoscono Cristiano Ronaldo. Tutti
conoscono Cristiano. In Marocco è un idolo nel vero senso della parola e vedere
in giro le sue maglie indossate dalla popolazione è la regola. Anche i bambini
di Ain Saicr lo conoscono. Lasciamo il villaggio percorrendo chilometri di
strada prima di trovarne un altro.
Ai lati i bambini si incamminano verso la scuola. Qualcuno
riesce a strappare un passaggio saltando il carretto trainato dall’asino. Gli
adulti restano sulla strada a vendere i fichi d’India ai passanti. Si vive alla
giornata e il tempo scorre lentamente nei villaggi. Così diversi dal Marocco
che vuole imporsi. A Marrakech c’è il casinò, gli hotel per ricchi, i poveri.
Ad Agadir abbiamo visto Ferrari parcheggiate su lungo mare, alberghi di lusso
per turisti stranieri e tantissimi poveri fuori dalla città. A Kouribga abbiamo
visto che si costruisce a ritmo forsennato. Chi ha soldi può investire e
diventare ricco. Ma i poveri resteranno sempre poveri. Nei villaggi ci sono
solo poveri. Anziani malati e bambini che sorridono anche se non hanno niente.
Dimenticati dal mondo.
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